Alla fonte
A testimonianza del fatto che Lasa è ancora la meta di giovani artisti e scultori di tutto il mondo, incontriamo Romina Roman, arrivata in Val Venosta da Salisburgo: per lei martello e scalpello sono già strumenti di uso quotidiano perché frequenta il rinomato Istituto professionale per la lavorazione della pietra di Lasa, le cui origini risalgono al 1874. Altri allievi della scuola del marmo provengono da Germania, Francia, Gran Bretagna e Paesi Bassi perchè vogliono imparare i segreti dei maestri artigiani del nostro tempo. “A Lasa è iniziato tutto. Sono giunta alla fonte storica”, afferma la studentessa. Sculture e busti in marmo di un bianco brillante ornano le aule della scuola. Nella sala di modellatura, dove le idee delle allieve e degli allievi prendono forma, l’aria è pervasa dall’odore del gesso, materiale con cui si cola, si modella, si assembla e si sperimenta. Due piani più in basso ecco il laboratorio più grande. Alla vista dei macchinari che riempiono la sala, gli occhi della giovane artista si illuminano. Questo è il suo mondo. Un mondo rumoroso: nel laboratorio si scalpella, si fresa, si batte e si martella incessantemente. “Per lavorare il marmo serve moltissima forza fisica. All’inizio ti fanno male i polsi e ti vengono le vesciche sulle mani. Ma a me ormai sono venuti i calli”, racconta. Il marmo, insomma, non si piega agli esseri umani. Si lascia modellare solo da chi lo sa comprendere. Oltre a forza, tecnica, creatività e capacità di immaginare in tre dimensioni, lavorarlo richiede tanta, tanta pazienza: “Devi restare concentrata, non puoi essere sovrappensiero o divagare. Il marmo non lo perdonerebbe. Se se ne leva troppo non c’è rimedio, è impossibile tornare indietro”, spiega la studentessa.
Colore divino
Venti chilometri a nordovest di Lasa, sopra Burgusio a 1.350 metri, troneggia un edificio che sembra una fortezza: è
Marienberg, l’abbazia benedettina più alta d’Europa. Qui incontriamo Helene Dietl Laganda, che ha appena concluso l’ultima visita guidata della giornata. A 46 anni l’insegnante di Malles ha realizzato il sogno di iscriversi a un corso universitario di Storia dell’arte. E oggi condivide le sue conoscenze con visitatori provenienti da tutto il mondo. Ha appena mostrato a un gruppo a collegiata del tardo XII secolo. “Personalmente non vado a messa ma in chiesa ci passo più tempo di alcuni parroci”, racconta ridendo. Il suo sguardo si posa sul portale con arco a tutto sesto, incorniciato da marmo e granito: un esempio notevole della tecnica raffinata degli scalpellini dell’epoca. “Nessun’altra pietra è stata impiegata così frequentemente di epoca in epoca come il marmo, sia in edifici sacri che profani. Per la sua qualità eccellente e per la sua resa estetica”, osserva. A Marienberg il marmo bianco di Lasa ha un valore anche simbolico; il bianco è il colore divino. Lo si vede soprattutto nella cripta che custodisce uno splendido ciclo di affreschi romanici. “Avete notato? I colori brillano!”, sussurra Dietl Laganda.
In effetti per i fedeli del Medioevo doveva sembrare un miracolo divino vedere Cristo, giudice benevolo del mondo, circondato dagli apostoli e dagli angeli, risplendere a vari metri sotto-terra. Il segreto? Il colore miscelato alla polvere di marmo. Certe volte l’occhio vede solo ciò che vuol vedere. E talvolta è l’occhio interiore a guidare il lavoro. È così che nascono le opere di Elias Wallnöfer. All’ombra di un padiglione sta lavorando al busto di un facoltoso uomo d’affari. L’ha scalpellato partendo da un blocco di marmo cristallino. Dovrà durare per l’eternità. “Il marmo di Lasa ha una vita lunghissi ma, resiste alle intemperie, è impermeabile e ha una durezza del 20 per cento superiore rispetto ad altre varietà di marmo”, sottolinea. Dal carattere duro e un po’ peculiare: proprio così, a volte, vengono descritti gli stessi abitanti di Lasa. Dall’esterno possono certo sembrare così, ma chi impara a conoscerli bene può assistere a un piccolo miracolo.